Tale questione viene approfondita da Chiara Saraceno, sociologa e filosofa italiana, nel suo testo “La questione femminile”; l’autrice sottolinea la complessità estrema della questione femminile in tal senso: benché la tradizione ci abbia, in effetti, consegnato immagini di donne che lavorano con bambini i al collo, il sistema di fabbrica, con le sue inesorabili scansioni, finisce per accogliere in modo intermittente, e talvolta per escluderle, le mogli e le madri, e relega anche le donne nubili al ruolo di lavoratori di livello inferiore, con salari più bassi e mansioni assolutamente meno qualificate. La partecipazione della donna al lavoro provoca inoltre il venir meno della solidarietà operaia, in quanto i lavoratori vedono nelle donne in fabbrica una minaccia per i loro livelli salariali e progressivamente le emarginano dalle nascenti organizzazioni operaie.
Tenuta ai livelli più bassi e indecorosi del processo lavorativo, ricattata anche sul piano sessuale, la donna tende quindi a ricollocarsi nell’alveo familiare, separandosi, per quanto possibile, dall’ambito lavorativo: così, in quell’epoca, la figura della madre di famiglia, che diviene il simbolo dell’unità e della stabilità della famiglia operaia, della continuità della vita quotidiana, acquistando un’importanza nella sua organizzazione molto più marcata che nella contemporanea famiglia borghese.
Così nelle organizzazioni dei lavoratori si verranno ad intersecare questi vari piani: e se gli operai, sulla questione della parità salariale, tenderanno spesso a controllare o addirittura ad eliminare la concorrenza della forza-lavoro femminile, sottopagata e facilmente ricattabile, questa autodifesa si intreccerà in modo conflittuale con la loro esperienza di mariti, padri e figli, testimoni quotidiani dei soprusi di cui erano sovente oggetto le lavoratrici in fabbrica.